Passati i Golden Globe, mi dedico all’attività più importante dopo ogni evento stellare: controllare i look del red carpet, che in questo caso sono stati incidentalmente più chic del solito perché le star hanno sfilato in total black a sostegno della campagna Time’s Up contro gli abusi sessuali.
Controllando la lista dei vincitori, ho scoperto che ha avuto un discreto successo una serie tv che per molto non mi ero filata di striscio, ma che ho appena finito con un certo gusto, e va la infilo nel mio terzo post del recuperone del weekend.
Il mio recuperone del weekend è fatto di serie brevi, al massimo un paio di stagioni, che in due giornate potete finire senza problemi. Di solito non sono tra quelle osannate dalla critica e sono rimaste in disparte rispetto ad altre ben più famose.
Per il primo weekend vi avevo proposto Love e Lovesick. Per il secondo mi sono buttata sul politicamente scorretto con I love Dick e Fleabag.
Per il terzo weekend di binge watching vi propongo come prima serie una coccola, qualche ora di puro divertimento senza troppo sbattimento. E come seconda, una serie antologica leggera ma che apre a qualche inaspettata riflessione.
The Marvelous Mrs Maisel (su Prime Video)
I primi minuti del pilot di questa serie tv mi avevano ingannata: la protagonista Midge Maisel mi ha fatto subito pensare a una Kimmy Schmidt degli Anni cinquanta, ma molto più antipatica. Poi ho capito che avrebbe preso tutt’altra direzione.
Midge è una giovane casalinga ebrea di New York che viene mollata dal marito Joel, un aspirante comico che non ha molto successo. La sera dell’abbandono Midge si ubriaca, torna nel locale dove si esibiva Joel e fa letteralmente a pezzi la platea, scoprendosi una stand-up comedian molto più talentuosa del marito.
La stand-up comedy americana è molto più dissacratoria di quella nostrana e non fa sconti a nessuna categoria politica o religiosa, è scorretta in temi di sesso, famiglia, questioni razziali.
Questa serie artificiosa, strutturata quasi come un musical (ma dove nessuno canta o balla), ci racconta una stand-up comedy che prende in giro lo splendore e il benessere economico di quegli anni, ma anche una disuguaglianza femminile che in qualche modo stava già iniziando a incrinarsi.
I dialoghi serratissimi ricordano lo stile di Gilmore Girls, mentre le atmosfere, impeccabili e patinate, quello di Mad Men.
Non aspettatevi però dei personaggi strutturati e profondi: Midge e Joel sono quelli più riusciti, mentre i secondari risultano farseschi e macchiettistici (perfettamente in linea con la messa in scena), in alcuni casi forse eccessivi, e fanno solo da divertente contorno alla storia dei protagonisti.
La brava (e bellissima) Rachel Broshanan ha appunto vinto il Golden Globe per la miglior attrice protagonista in una serie tv comedy e la serie stessa si è portata a casa il premio come miglior comedy.
Easy (su Netflix)
A un primo sguardo, Easy rispecchia il suo nome: semplice, e per questo la prima stagione non mi aveva particolarmente entusiasmata.
Come in ogni serie antologica, i personaggi sono sempre diversi di puntata in puntata (anche se qui e là scopriamo delle connessioni tra loro) e il fulcro di tutte le storie raccontate è riflettere sui rapporti di coppia.
La seconda stagione mi ha stupito perché porta la riflessione a un livello più profondo e non scontato. I protagonisti sono quasi tutti gli stessi, presumibilmente qualche anno dopo rispetto a dove li avevamo lasciati, e si scoprono nuovi intrecci tra una storia e l’altra.
I temi sono vari: dal tentativo di salvare un matrimonio che si è voluto aprire ad altre persone (Matrimonio aperto), al lavoro di una escort e il suo rapporto con i clienti che travalica l’aspetto sessuale (Secondo lavoro).
Le puntate più interessanti sono quella che si interroga su come ci si può rapportare con gli ex partner senza combinare troppi casini (Ricorda il tuo Twitter!), quella sulla gelosia che compare inesorabile anche quando si fa della propria vita un baluardo contro gli stereotipi (Lady Cha Cha), e quella sulla forza e la dolcezza del desiderio di maternità (Piccoli passi).
C’è poi La figlia prodiga, un’altra puntata che mi ha colpito e che esce dai confini tracciati dalla serie, una riflessione su cosa sia la vera bontà cristiana vista attraverso lo sguardo tagliente di un’adolescente ribelle.
E allora easy diventa solamente il tono con cui i personaggi si raccontano e lo stile di regia di queste brevi puntate, semplice ma non semplicistico.
Sfido chiunque a non sentirsi partecipe dei dubbi dei protagonisti. Ti intrufolano in mezzo a dialoghi che sembrano rubati da conversazioni di tutti i giorni, pieni di esitazioni, quasi recitati a braccio.
Ed è come guardare dal buco della serratura le nostre stesse debolezze.