Tredici seconda stagione Netflix

Tredici: la forza dei ruoli secondari

Non posso scrivere questo pezzo senza parlare della trama della seconda stagione, quindi sì: se continuate a leggere vi beccate gli spoiler. Poi non ditemi che non vi avevo avvertito.

Tredici è un prodotto seriale che, nonostante i numerosi difetti, continua a interessarmi e incuriosirmi, tanto da essere la prima volta che qui parlo due volte della stessa serie tv.

Il tema principale della prima stagione è controverso e molto delicato: un’adolescente, Hannah Baker, si suicida, dopo aver subito ripetuti atti di bullismo da parte dei suoi compagni di scuola, enfatizzati dall’incapacità degli adulti di cogliere i campanelli di allarme.
Prima di togliersi la vita, registra nove cassette, indirizzate a ognuno di quelli che lei ritiene i colpevoli, e racconta gli episodi che li hanno visti coinvolti.

Il calderone della seconda stagione

Mi sono approcciata alla seconda stagione in modo molto scettico, perché temevo l’effetto allungamento del brodo, e purtroppo non mi sono ricreduta.

Qui assistiamo al processo che vede contrapposti i genitori di Hannah alla scuola, a cui fanno causa per la morte della figlia.
Lo spettro dei temi affrontati si amplia, e si focalizza soprattutto sulle molestie e gli abusi sessuali da parte del capo della squadra di baseball (Bryce Walker) nei confronti non solo di Hannah, ma di numerose altre ragazze, tra cui Jessica Davis, una degli accusati da Hannah nella prima stagione.

Oltre a questo si parla apertamente di dipendenze da droghe, problemi razziali, salute mentale, omosessualità, possesso di armi e stragi nelle scuole.
Sì, è un grosso calderone in cui c’è di tutto, e in cui alcuni temi sono trattati meglio, altri meno, e l’ultima puntata cerca di farne un riassuntone un po’ forzato.

Poche cose riescono ad essere d’impatto, come ad esempio, l’ultima scena dedicata al processo, in cui al discorso di Jessica contro Bryce si sovrappongono i racconti di abusi di tutte le donne protagoniste della serie.

Hannah e Clay di Tredici

Due protagonisti insopportabili
I due protagonisti (Hannah e Clay) sono ormai insostenibili.
Hannah, da morta, si manifesta all’amico, ma non si capisce a che scopo: non aiuta nello svolgimento della trama, né lo fa impazzire del tutto, come sembrerebbe nelle prime puntate.

Nella prima stagione era trapelato che Clay avesse sofferto di depressione, ma qui si trasforma all’improvviso in un piccolo eroe senza macchia e senza paura, che arriva persino, da solo e in maniera del tutto irrealistica, a sventare una strage al ballo della scuola.

Ruoli secondari che brillano
Come spesso accade, a protagonisti insipidi si contrappongono ruoli secondari notevoli.
In questo caso, due personaggi che secondo me funzionano molto bene sono quelli di Alex Standall e Tyler Down.

Alex Standall di Tredici

Alex Standall (interpretato da Miles Heizer)
Il personaggio più interessante da subito, nella prima stagionè stato ignorato da tutti, compresi noi spettatori, perché troppo concentrati sulla morte di Hannah.
Sono passati inosservati il disagio, il senso di colpa e la fragilità del più umano e realistico di tutti i personaggi, tanto che nessuno si sarebbe aspettato il tragico tentativo di suicidio dell’ultima puntata.

Nella seconda stagione, Alex dopo essere sopravvissuto, e l’attore affronta con garbo lo sviluppo del suo personaggio, la sua disabilità e la perdita di memoria causati dall’incidente, ma anche il rapporto contrastato con gli amici e con qualcosa che assomiglia all’inizio di un amore.

Nervoso ma placido, rassegnato ma combattivo, timido ma in realtà il più coraggioso di tutti: Alex vive un caleidoscopio di emozioni molto vere, ed è l’unico credibile di tutta la serie.

Tyler di Tredici
Tyler Down (interpretato da Devin Druid)
Quella di Tyler è una storia parallela a quella principale, e ha una parabola molto coerente e credibile: dalle prime accuse di stalking nella prima stagione, arriviamo a scoprirne il disturbo ossessivo-compulsivo e la passione per le armi.
E, dal primo momento in cui ne prende in mano una, sappiamo già come andrà a finire.

Vittima di un bullismo continuo, trova una parvenza di salvezza quando incontra l’amico punk e la ribellione (vabbè), con cui combina qualche guaio, come andare in giro per la scuola con una maglietta auto prodotta con scritto assholes.
Ma quello che i due architettano insieme è sempre troppo poco per lui, che vorrebbe un alleato per vendicarsi davvero degli stronzi della scuola.

Devin Druid è perfetto nel mostrarci la sua costante inquietudine che vibra sotto pelle e che non trova mai sfogo, ma anche la vergogna e l’incapacità di avere a che fare con le coetanee (la scena dell’appuntamento al cinema è da manuale), che acuisce ancora di più la sua infelicità.

All’apice della disperazione, sarà costretto a passare mesi al riformatorio e da lì tornerà solo in apparenza tranquillo, ma riflessa negli occhi avrà una nuova, inquietante, vacuità.

L’ultimo episodio di violenza che è costretto a subire, così crudo da farti distogliere lo sguardo, farà eruttare tutto il marcio e la sofferenza sepolta negli anni, e gli farà prendere la decisione di imbracciare il mitra e prepararsi alla resa dei conti.

E poi, diciamolo, Devin Druid ha la faccia adatta ai ruoli alla Edward Norton, e di fronte a lui vedo un futuro roseo fatto solo di assassini, psicopatici e alienati di vario genere.

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