Le mie donne preferite della tv

Oggi ho deciso di fare un elenco delle mie serie tv preferite con un cast di sole donne.
Sulla scelta delle prime due non ho esitato: di Girls e Good Girls Revolt avevo già ampiamente parlato.
La terza è venuta da sé: Orange is the new Black è appena arrivata alla quinta stagione e ormai mi sono talmente affezionata alle detenute di Litchfield che non potevo non citarla.

Tra redazioni di giornali, carceri femminili, appartamenti newyorkesi, le protagoniste delle serie tv al femminile da recuperare quest’estate ci dimostrano come la forza e la bellezza delle donne abbiano mille sfaccettature.

L’afa non vi dà tregua, le ferie sono ancora lontane e usciti dall’ufficio avete solo voglia di buttarvi sul divano, accendere l’aria condizionata e iniziare una nuova serie tv?

Alcune delle più riuscite hanno come protagoniste delle donne straordinarie e fuori dal comune.

Ecco allora qualche consiglio da recuperare quest’estate.

Kimmy Schmidt

1. Umbreakable Kimmy Schmidt (comedy, tre stagioni su Netflix)

La storia: Kimmy è una delle quattro ragazze “talpa”, chiamate così perché tenute segregate per 15 anni da un predicatore che le ha convinte che all’esterno si stava scatenando l’Apocalisse.
Quando vengono finalmente liberate, Kimmy si ritrova a dover affrontare una nuova vita a New York, completamente impreparata ai cambiamenti degli ultimi decenni.

Perché vederla: Kimmy ha uno sguardo innocente e giocoso sul mondo che sarebbe bello riuscire ad imitare: il suo entusiasmo è spiazzante ed esilarante. E poi, il suo colore preferito è il fucsia!

Grace and Frankie

2. Grace and Frankie (comedy, quattro stagioni su Netflix)

La storia: Grace e Frankie non si sopportano: sono le mogli di due soci di lavoro e sono decisamente agli antipodi. Grace è algida e alto-borghese, i suoi capelli sono sempre impeccabili e la sua villa è una reggia. Frankie è una hippie dai lunghi capelli grigi, animalista e vegana. Le due si trovano a dover affrontare insieme la confessione dei due mariti di essere amanti da anni. Dopo le inevitabili (e spassose) difficoltà iniziali, diventeranno amiche.

Perché vederla: per capire come anche le differenze più inconciliabili possono riservare grandi sorprese e che il concetto di famiglia è molto cambiato e non può avere delle definizioni univoche. E poi per le due protagoniste, Jane Fonda e Lily Tomlin, che sono straordinarie e divertentissime.

Lena Dunham

1. GIRLS (drama, sei stagioni su HBO)

La storia: Quattro amiche a New York, quasi trentenni, alle prese con le difficoltà del lavoro, dei rapporti di amicizia e d’amore.

Perché vederla: Lena Dunham (scrittrice e protagonista della serie) è la migliore penna della sua generazione, e ne racconta il meglio e il peggio senza nessun pudore o filtro. Non aspettatevi Sex and the City, ma piuttosto il suo esatto contrario.
La sua protagonista, Hannah, ci fa capire come il corpo delle donne non ha (e non deve avere) un aspetto standard, ed il bello sta proprio nelle sue imperfezioni.

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3. Orange is the new black (drama, 5 stagioni su Netflix)

La storia: Piper Chapman è una biondissima ragazza di ottima famiglia che improvvisamente viene arrestata per essere stata tradita da una sua ex per un vecchio coinvolgimento in un traffico di droga, e si ritrova a dover sopravvivere all’interno del carcere federale femminile di Litchfield.
Nell’ultima stagione le detenute mettono in atto una ribellione e i ruoli tra prigionieri e aguzzini si ribaltano, con delle conseguenze inaspettate.

Perché vederla: seguire le storie delle detenute di Litchifield ci insegna che la normalità non esiste, ci fa riflettere sulla diversità, sulle differenze di razza e cultura, sulla capacità di adattamento dell’essere umano e sulle ingiustizie sociali.


Good girls revolt

2. Good girls revolt (drama, 1 stagione su Prime Video)

La storia: 1969, la redazione del giornale News of the Week è equamente divisa tra uomini e donne, ma solo a livello numerico. Le donne, infatti, non possono fare davvero le giornaliste, ma solo le ricercatrici, e si occupano di raccogliere il materiale per gli articoli che poi verranno firmati dai colleghi maschi (pagati più del doppio di loro).
Le ragazze decidono di organizzarsi e denunciare la testata.

Perché vederlo: perché non si finisce mai di lottare per i diritti delle donne, perché le giornaliste del News of the Week sono davvero delle tipe saghe, e poi, naturalmente, per la moda e la musica dei Seventies!

 

La lista potrebbe andare avanti all’infinito elencando anche le straordinarie protagoniste di serie tv non 100% al femminile: solo per citarne alcune, Daenerys Targaryen di Game of Thrones, Eleven in Stranger Things, Carrie Mathison in Homeland, o Peggy Olson in Med Man.
Sono tutte donne forti, non convenzionali e passionali che, nonostante le difficoltà, non perdono mai le speranza e la caparbietà.

Nel frattempo mi accingo a iniziare Glow, altra serie al femminile, questa volta ambientata nel mondo del wrestling degli Anni Ottanta e ideata dalle stesse menti che stanno dietro proprio a OITNB.
Le premesse ci sono tutte perché la ami: metto già in calendario il prossimo pezzo.

 

 

 

 

 

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Nessuno ci ridarà Don Draper

Le ragazze di Good Girls Revolt, un’altra serie tv che trovate su Prime Video, starebbero bene tra le pagine di Storie della buonanotte per bambine ribelli.

La piattaforma di Amazon, che mi sta dando parecchie soddisfazioni, come dicevo qui, mi ha stupita con un’altra serie scritta bene (anche se, purtroppo, non è stata rinnovata per una seconda stagione) che racconta le vicende della redazione del fittizio giornale News of the Week tra la fine del 1969 e l’inizio del 1970, momento di grande fermento e lotte per i diritti civili.

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Il titolo fa riferimento proprio alla parte femminile della redazione, che decide di fare causa alla testata, in quanto profondamente discriminata sul lavoro: le donne, infatti, non possono ambire al ruolo di reporter ma solo a quello di ricercatrici, che affiancano i giornalisti (e che, nella maggior parte dei casi, si limitano a mettere la firma su un pezzo praticamente già scritto) e hanno degli stipendi che sono meno di un terzo di quelli dei loro colleghi maschi.

La serie è piacevole, ma è sopratutto apprezzabile se, come me, siete dei nostalgici di Mad Men.
Good Girls Revolt, infatti, vi ricorderà sicuramente le dinamiche che avete amato della serie di AMC. Se, invece, Mad Men non l’avete mai visto, shame on you: vi impongo di recuperarlo.

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GGR deve moltissimo a Mad Men: il periodo storico è lo stesso (o, almeno, una parte di quello raccontato in MM) e alcuni personaggi della redazione raccolgono abbondantemente l’eredità delle loro controparti di Madison Avenue.
Qualcosa c’è anche di un’altra serie che omaggia i Seventies da un altro punto di vista: la (purtroppo) poco riuscita Vinyl di Martin Scorsese e Mick Jagger.

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Tutte e tre raccontano in maniera molto accurata lo stile un’epoca e i suoi avvenimenti (e sono un ottimo riassunto storico, se aveste bisogno di un ripasso prima di un esame), ma mentre GGR lo fa dal punto di vista giornalistico, e quindi l’attualità è il cuore di tutto il racconto (a un certo punto si cita anche la bomba in Piazza Fontana), per Mad Men gli avvenimenti della Storia sono un contorno e una scusa per raccontarci l’evoluzione del mondo della pubblicità. Vinyl, naturalmente, è talmente dettagliata nel raccontare la storia della musica degli Anni Settanta, che il resto viene lasciato per forza di cose in secondo piano.

Una caratteristica in comune tra tutte e tre le serie è indubbiamente la tendenza dei personaggi a bere superalcolici a qualsiasi ora del giorno.

Mad Men vive di atmosfere elegantissime: c’è una cura nei set e nell’abbigliamento dei personaggi quasi maniacale (per non parlare degli oggetti di scena, vere chicche per collezionisti) e a far diventare la stessa costumista Janie Bryant un’icona.
La scrittura è molto raffinata ma a volte un po’ complessa da seguire, e sicuramente soffre di una maggiore lentezza nel racconto.

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Good Girls Revolt è meno curata nei dettagli e negli ambienti, ma ha dei dialoghi, se vogliamo, più semplici e ritmati, e quello che qui succede in una stagione, Mad Men lo allunga in almeno il doppio del tempo.

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Ma passiamo ai personaggi principali, l’aspetto più divertente su cui improvvisare delle comparazioni.

La protagonista di Good Girls Revolt, Patti, ha da una parte l’aspetto, la leggerezza e la tenacia della Jamie di Vinyl.

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Ma è di fatto il corrispettivo di Peggy di Med Man, anche se lei qui riesce a raggiungere i suoi obiettivi in una stagione, mentre Peggy ce ne mette almeno tre per fare il salto da segretaria a copy e diventare una creativa veramente rispettata dai colleghi.

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Anna Camp, che interpreta la bionda Jane in GGR, talmente fonata da sembrare l’automa della Kidman ne La donna perfetta, è una vecchia conoscenza (ha infatti recitato in qualche puntata di MM).

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Qui sarebbe il corrispettivo un po’ fiappo del mio personaggio preferito di sempre in Mad Men, Joan, con la quale condivide l’essere una well-educated girl dall’intelligenza raffinata e la capacità di tenere tutto sotto controllo da una posizione solo all’apparenza non di potere.

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Ma la complessità e la bellezza del personaggio di Christina Hendricks in MM sono inarrivabili, e per la bionditudine e il servilismo (almeno fino a un certo punto) della sua Jane, la Camp mi ha piuttosto ricordato January Jones e la sua insopportabile Betty Draper.

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C’è poi la parte maschile della redazione di News of the Week, che però è l’anello debole della storia. Sono quasi tutti piuttosto sottotono (a parte il buon Jim Belushi), e, diciamoci la verità, non potranno mai sostituire questi qui.

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Insomma, gente, non è umanamente possibile replicare un Don Draper.

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Un altro aspetto che accomuna le tre serie sono le bellissime ed esotiche mogli-trofeo dei capi, meticolosamente tradite e piuttosto disperate, dalla Megan di Don Draper (Jessica Paré in Mad Men) alla Talia di Finn (Odelya Halevi in GGR), alla Devon di Richie Finestra (Olivia Wilde in Vinyl).

Pick your favorite.

Per Good Girls Revolt mi sento di fare una menzione speciale a Grace Gummer, che (solo) in un paio di puntate è una Nora Ephron agli inizi della carriera, ma già chiaramente un passo avanti alle altre, non solamente come giornalista ma anche e soprattutto come piglio, intelligenza e schiettezza.

Dalla mamma Meryl Streep la Gummer ha ereditato un talento talmente naturale per la recitazione da farti dimenticare per un attimo che non è la vera Ephron, ed è un piacere guardarla.

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E per concludere, che ve lo dico a fare, di tutte e tre le serie non perdetevi le colonne sonore.

 

 


Update: da non vedere

Questo post nei miei progetti doveva diventare un paragone tra questa e un’altra serie dedicata alle donne ribelli, perché nel frattempo avevo dato una possibilità anche a Las Chicas Del Cable, prima serie spagnola prodotta da Netflix.
La tematica mi incuriosiva: anche qui ci sono delle donne che si ribellano contro l’ordine costituito, ma questa volta siamo a Madrid alla fine degli Anni Venti, in una compagnia telefonica.
Lo ammetto, ho mollato dopo due puntate.
È banale nella scrittura e nella costruzione dei personaggi, ed ha una protagonista che fa il pippone filosofico all’inizio e alla fine di ogni puntata come la peggiore delle Meredith Grey (e con la stessa espressività).
Mi ha infastidita poi per le scelte musicali a dir poco discutibili: gli attori fingono di muoversi a ritmo di charleston sulla base di un pop scarsissimo dei giorni nostri. Inaffrontabile.