Ho già scritto tanto, indirettamente, di Girls.
Ho aperto il blog sapendo già che avrei parlato di Lena Dunham, l’ideatrice e protagonista della serie, che è l’unica celebrity che seguo assiduamente sui social network. Mi piace per moltissimi motivi e ho scelto i dieci più importanti.
Poi ho continuato parlando anche del mio amato Adam Driver e di come Girls sia stato l’inizio di tutto.
Ma non ho mai scritto apertamente di questa serie tv che mi accompagna da almeno due vite fa (o così mi sembra, a guardare indietro al 2011), e con la quale, in un certo senso, sono cresciuta. Una delle poche che ho seguito dall’inizio alla fine, anno dopo anno, un pezzetto alla volta.
Ho finito in questi giorni l’ultima stagione.
Mi ero tutelata dal farmi dell’auto spoiler non leggendone le recensioni, ho visto decine di foto di Dunham e delle altre attrici in lacrime durante gli ultimi giorni di riprese e ho seguito anche la sua Instagram Story in diretta con lei e Alison Williams che guardavano insieme l’ultima puntata (la cosa più millennial che abbia mai fatto).
E insomma ce l’ho fatta, è andata, e senza neanche accorgermene è finita anche questa serie.
Mi sono finalmente messa al computer non tanto per cercare di elaborare una critica di quello che ho visto, ma di mettere più che altro ordine nei sentimenti che Girls mi ha suscitato fin dalla prima puntata.
Quando è uscita, e per tutta la sua durata, è stata inondata in parti uguali di critiche ed elogi. All’inizio ne parlavano come dell’anti Sex and City, per l’impalcatura di base che vede anche qui quattro amiche e la città di New York a fare da sfondo.
È stato chiaro a tutti dopo poco che le somiglianze si fermano a questo, e che le due serie non sono per nulla paragonabili.
Ma soprattutto è emersa subito la cosa più importante: Girls aveva appena dato il via a una nuova categoria di serie tv, quella del racconto onesto e senza pudore della generazione dei trentenni, che avrebbe aperto la strada ad altri prodotti di qualità come Master of None di quel geniaccio di Aziz Ansari.
Girls è diversa da tutto quello che c’era prima per varie ragioni.
Prima di tutto, per l’utilizzo che Dunham fa del corpo, del suo e di quello dei suoi attori: se ne parla sempre tanto, di come lo pone al centro di tutto, mettendo a nudo in tutti i sensi i suoi personaggi, sbattendoceli in faccia nella loro intimità come se li stessimo osservando dal buco della serratura.
E questo non solamente in casa, mentre fanno l’amore, sono seduti sulla tazza o mangiano uno yogurt sul divano, ma anche in pubblico (penso solo a lei che, all’inizio di questa stagione, si leva la tuta da surf di fronte a un gruppo di sconosciute e sotto è completamente nuda).
Il corpo è la scusa e la risposta a tutto, di ogni riflessione fatta, di ogni sbaglio e di ogni decisione presa, e Dunham ce lo fa capire con i suoi modi schietti e a volte anche disturbanti (American Bitch è in questo senso una delle migliori puntate della stagione, in cui ancora una volta il corpo, e la violenza sul corpo, sono usati come strumento di potere).
In seconda battuta, Girls ci porta a riflettere su un altro aspetto cardine della serie, cioè l’amicizia, che lei non racconta mai come un rapporto del tutto positivo e che, anzi, per la maggior parte del tempo è cattiva e totalmente privo di filtri.
Come il corpo, anche l’amicizia non viene mai addolcita o coperta, perché lei ce la vuol mostrare ripulita da ogni decorazione: nuda, cruda e crudele. E qui mi tocca fare un paragone con un’altra serie che per me resta sempre una pietra miliare, cioè F.R.I.E.N.D.S., in cui, per quante difficoltà ci siano, i rapporti restano sempre solidi e mai messi in dubbio.
Qui, invece, nel corso delle diverse stagioni il rapporto tra le quattro protagoniste, invece che migliorare e crescere con loro, non fa altro che diventare sempre più difficile.
Il primo finale di stagione (perché di fatto i finali di questa serie sono due, quello dedicato a loro quattro e quello per Hannah), nel bagno di casa di Shoshanna, è il perfetto riassunto della fine di questo rapporto e la Dunham mette in bocca proprio a quella che all’inizio sembrava la stramba del gruppo il discorso più sensato.
Non posso poi non fare accenno a un evento di questa stagione che in cuor nostro sapevamo sarebbe successo, prima o poi, anche se non sapevamo a chi né quali sarebbero state le conseguenze. Cioè che una di loro sarebbe rimasta incinta.
La stoccata finale data dall’autrice è stata proprio quella di decidere di dare questo compito alla sua protagonista, e il vero colpo di coda è stato il fatto che Hannah, questo bambino, lo tiene. A discapito di come l’abbiamo conosciuta in tutti questi anni (e ditemi chi di voi non puntava sul fatto che avrebbe preso un’altra decisione), riesce ancora una volta a stupirci.
Ancora, il bimbo non è figlio di qualcuno degno di nota (la puntata in cui, per un giorno solo, lei e Adam credono di poterlo crescere insieme era la cosa migliore da fare per dare il giusto addio anche alla loro storia), ma è infatti il suo breve crush estivo che la lascerà incinta e che la lascerà da sola a gestirlo.
Che conseguenze ha questa decisione? Un’ultima puntata in cui, ancora una volta, corpo e amicizia sono al centro di tutto.
Marnie è l’unica che le rimane accanto, ma viene continuamente rifiutata e tiranneggiata.
Il piccolo, invece, rifiuta lei e non vuole essere allattato, e questa è una nuova tragedia consumata sul corpo di Hannah, che adesso è una madre e non può più comportarsi con se stessa e con gli altri come ha sempre fatto.
Ma lo capirà, e noi con lei.
Ammetto che inizialmente non volevo credere che Girls finisse in questo modo, mi sembrava un po’ sottotono rispetto al resto della stagione e non mi pareva giusto che non ci fosse nessun altro, a parte lei, Marnie e la madre, a salutarci.
Ma a qualche giorno di distanza ho capito che non poteva essere altrimenti, che nelle puntate precedenti era già stato dato il giusto commiato a tutti gli altri suoi protagonisti e che, in fondo, il centro di tutto è sempre stata lei, e con lei doveva finire.
Farewell, Hannah Horvath. Ci mancherai.