Ciak cinema

Altri sei profili Instagram per amanti del cinema

Quest’estate, disperata come sempre per il solo fatto che fosse estate, ho scritto un post per tutti gli amanti del cinema che in quel periodo soffrivano con me per la mancanza di una programmazione decente in sala: Nove profili Instagram per amanti del cinema.

Nel frattempo la programmazione è ripartita, ho ricominciato a frequentare i cinema, ma soffro per il motivo complementare e opposto: i troppi film che escono in contemporanea.
Per non pensare allora al fatto che ne vedrò solo la metà di quelli che vorrei, ho preparato la seconda lista di profili Instagram per appassionati. Enjoy.

Accidentally Wes Anderson
Ecco, per caso, compare Wes Anderson, in un vagone di un treno, una villa antica, l’atrio di un hotel. Questo bellissimo account raccoglie tutti i luoghi del mondo (e le loro incredibili storie) che sembrano usciti da un film del regista e illuminati dalla sua fotografia dai colori pastello.

 

 

Mario Oscar Gabriele
Un piccolo account di un illustratore che ama parecchio i film Disney, e trasforma gli attori in personaggi che sembrano usciti da Mulan o dai fumetti di Paperino.

 

 

Shelf Heroes
Una fanzine indipendente (quella che si è inventata Ticket PLZ, profilo di cui avevo parlato nello scorso post) di illustrazione dedicata al cinema. Ogni artista coinvolto illustra un film che inizia con la lettera dell’alfabeto dell’edizione in corso del magazine.

 

 

The Smallest Boy
Questo artista realizza piccole miniature di carta tagliate al laser e poi montate a mano che ricreano i classici del cinema. Hitchcock e Kubrick sono i suoi i preferiti.

 

 

Script to screen
Questo è forse il mio account preferito del momento. Chi lo gestisce ha montato dei brevi video di numerose scene di film con la sceneggiatura corrispondente che scorre in basso.
Per aspiranti sceneggiatori o malati di mente come me.

 

 

Phil Grishayev
Phil, un produttore di Los Angeles, fa una cosa che tutti i fanatici di cinema prima o poi vorrebbero fare: ritorna sui luoghi dove sono state girate le scene dei suoi preferiti e si fa fotografare all’incirca come i protagonisti. La riuscita delle foto non è meravigliosa, ma il profilo è divertente ed è una buona mappa per organizzare tour a tema.

 

 

Nella prossima puntata, vi elencherò i miei account preferiti di attori e registi (qualcuno più gossipparo, qualche altro, invece, per il talento nel fare le foto).

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Lista dei desideri parte 2: libri

Se avete già riempito il carrello con i regali più giusti per gli appassionati di serie tv, prima di fare l’ordine prendete carta e penna e aggiungete qualche libro.

Adoro i tomi fotografici e i fumetti, e per la mia lista ne ho scelti diversi. Ma c’è anche un romanzo, una riedizione illustrata di una saga che amo da più di un decennio, e un libro per tornare adolescenti incazzati.
Pronti?

Star Wars Costumes: The Original Trilogy – Brandon Alinger
Visto il periodo, non potevo non infilarci una cosa a tema Star Wars. In attesa di tornare in sala a fare la groupie di Kylo Ren, il primo desiderio in lista riguarda la mia parte preferita della saga: la trilogia originale e i suoi favolosi costumi.

Star Wars Costumes: the original trilogy.


Visualising the Beatles – John Pring, Rob Thomas

Da quanti punti di vista e in quanti modi si può raccontare la storia dei Beatles? Infiniti. Dopo aver visto il dimenticabilissimo documentario in cui la racconta la loro segretaria, mi manca solo questo: i Beatles raccontati in infografiche.

 

OMG Posters: A decade of Rock Art – Mitch Putnam
Ho la compulsione di comprare locandine degli eventi che vado a vedere, soprattutto le mostre, ma anche i concerti. Ecco, se qualcuno mi compra questo librone definitivo dei poster degli ultimi dieci anni di praticamente tutte le band rock esistenti, almeno posso lasciare libera qualche parete di casa.

 


The Wes Anderson Collection – Bad Dads: Art Inspired by the Films of Wes Anderson – Spoke Art Gallery
Come superare un rapporto familiare difficile? Immaginandovi in un film di Wes Anderson. Ho già parlato di questo oggetto del desiderio quando pensavo di riarredare casa come avrebbe fatto il regista.



 Heather, più di tutto. – Matthew Weiner

Questo non è illustrato né fotografico, è un romanzo, un noir che parla dell’incontro di due mondi totalmente all’opposto, uno scintillante e perfetto, l’altro basso e immerso nel degrado, attraverso la figura della bellissima Heather.
Vi svelo il segreto: è scritto da uno degli autori di Mad Men.

Heather, più di tutto - Matthew Weiner

Harry Potter illustrato da Jim Kay
Mi ero persa tutta la bellezza di questo progetto, e ho scoperto da pochissimo questo illustratore che ogni anno riprende in mano un volume di Harry Potter per illustrarlo in maniera incredibile. Quest’anno è arrivato al Prigioniero di Azkaban, che è anche il mio capitolo preferito. Fate voi.

 

Atlante dei luoghi insoliti e curiosi – Alan Horsfield, Travis Elborough
Penso che questo atlante sia il libro perfetto da leggere in queste sere d’inverno, per mettere le crocette su tutti i posti meravigliosi che sarebbe il caso di visitare almeno una volta nella vita. Qui ci sono i luoghi più assurdi, bizzarri, sperduti e dimenticati della Terra. Regioni remote, terre sommerse, labirinti sotterranei e città fantasma: dai, vi serve altro?

Atlante dei luoghi insoliti e curiosi

 

I diari bollenti di Mary Astor – Edward Sorel
Sono appassionata dei profili Instagram che parlano di libri, e questo fumetto è comparso moltissime volte nel mio feed. Racconta “il grande scandalo a luci rosse del 1936” che coinvolse l’attrice Mary Astor e all’epoca uscì su tutti i giornali. L’ex marito, nella causa per l’affidamento della figlia, minacciò di pubblicare i diari della moglie che aveva scovato quando erano ancora sposati, e in cui lei aveva documentato e classificato tutti gli affaire che aveva avuto (con relative misure e commenti sulle prestazioni). In questo romanzo Edward Sorel si finge un disegnatore di tribunale e racconta lo scandalo, ancora attualissimo.

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Colazione d’autore. #bookbreakfast di Petunia Ollister
A proposito di Instagramer che fotografano libri, Petunia Ollister è un’istituzione. Di solito non amo molto le tavole della colazione preparate appositamente per essere fotografate, ma le sue sono bellissime, eleganti e di ispirazione per i prossimi libri da leggere. Spesso ci si scovano anche consigli su oggetti di design o mostre da visitare.



Ti saluta stocazzoEnlarge your pencil – coloring book 


I coloring book hanno rotto le palle e per la maggior parte sono talmente brutti che non mi viene per nulla voglia di provare a rilassarmi in loro compagnia. Ma riuscite a immaginare la soddisfazione di colorare le peggio parolacce che vi vengono in mente, o tutte le categorie del porno? Geniale, a partire dai titoli.

 

P.S. Anche in questo caso, se acquistate dai link che ho inserito nell’articolo, il blog riceverà una piccola commissione.

 

 

 

A normal heart

Non riguardo volentieri né i film né tantomeno le serie tv che ho già visto, a parte alcune illustri eccezioni (Sherlock e F.R.I.E.N.D.S. su tutti).
È perché ho l’ansia di non avere abbastanza tempo per vedere tutto quello che ho ancora in lista e mi sembra di perdere tempo.

Ma c’è un film che ho trovato adorabile dal primo momento e se lo danno in tv lo rivedo sempre volentieri. È “I ragazzi stanno bene”, il film che mi ha fatto scoprire Mark Ruffalo, che nel giro di un altro paio di pellicole è diventato uno dei miei attori preferiti.

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Sto scrivendo dopo aver visto il chiassoso e pesantissimo Thor Ragnarok, da cui sono uscita confusa e stordita.

Qualcuno conosce già la mia passione per i film Marvel, quindi mi sentivo quasi in dovere di vedere anche questo. 
Questo non mi è piaciuto, mi è sembrata un’accozzaglia di cose confusionarie messe insieme solo per stupire e per esaurire il budget.

Ho aspettato per tutto il film il momento in cui sarebbe comparso il Bruce Banner di Ruffalo, ma è stata una grossa delusione: lo hanno fatto diventare un cretino, impaurito e sbeffeggiato perché non ha nient’altro da offrire alla causa di Thor che sette dottorati del tutto inutili.

Perché mi avete fatto questo?

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Ho sempre pensato che il povero Mark, nel suo essere per niente cool, per niente maudit, fosse un attore sottovalutato da Hollywood.
Eppure, è scrupoloso e di grande talento, tanto da aver dato al suo Hulk (almeno fino a questo schifo di Ragnarok) un’umanità e una profondità tale da averlo reso il più interessante di tutti i supereroi del gruppo, in mezzo a quella giravolta di bicipiti e armature e figaggine sparsa.

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È bravo, ragazzi, è davvero bravo. Dategli qualsiasi ruolo e lui si darà al pubblico con generosità.

Oltre alla saga degli Avengers, riguardatelo in Zodiac, in Shutter Island, in Now You See Me (che è un filmetto senza arte né parte, ma Ruffalo riesce a creare un personaggio oscuro e inaspettato che vale la pena vedere), in Foxcatcher, nel commovente The Normal Heart, ma soprattutto, nel bellissimo Spotlight. Questi sono solo i miei preferiti, ma la sua filmografia è vastissima, nonostante sia quasi sempre tenuto all’ombra di altri più famosi di lui.

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Ogni anno io mi chiedo perché quest’uomo non abbia ancora ricevuto un Oscar. Perché non riescono a farlo uscire definitivamente da questi personaggi spalla e a dargliene uno in primo piano? Perché non riescono a proporgli un ruolo importante e la fama che si meriterebbe?

Qualcuno gli regali una seconda vita, in fondo non sarebbe il primo: pensate a cosa è successo a J.K. Simmons, che è diventato famoso solo a 60 anni dopo il successo di Whiplash.

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Vi do anche un consiglio che rallegrerà le vostre giornate: seguitelo sul suo profilo Instagram. È tutto il contrario del figone hollywoodiano.
È un papà tenerissimo e ha letteralmente una cotta adolescenziale per la moglie. È molto attivo e schierato a favore di numerose campagne sociali, per cui scende in piazza un giorno sì e l’altro pure.

Ha anche combinato un casino alla prima di Thor Ragnarok, dove si è messo a fare delle stories su Instagram, dimenticandosi però di spegnerle quando è partito il film, e ha fatto sentire in anteprima mondiale i primi dieci minuti del film. Insomma, una figura di merda che avrebbe potuto fare chiunque di noi.

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Ed è questo suo essere così assurdamente normale che mi piace di Ruffalo e che mi fa venire voglia di andarmi a bere una birra con lui e farci due chiacchiere.

Mentre attendo che qualche produttore colga il mio appello e lo scritturi per il ruolo che lo farà vincere l’Oscar, mi consolo sapendo che qualcun altro lo ama come lo amo io e ha fatto questa classifica delle volte in cui Mark Ruffalo è stato troppo adorabile per essere di questo mondo.

Nove profili Instagram per amanti del cinema

Quest’estate scrivevo così:

Non sono per niente una fan dell’estate. Lo sanno tutti quelli che mi conoscono: non ne ho mai fatto mistero, nonostante il disprezzo di quasi tutti quelli a cui lo confesso.

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Uno dei tanti motivi è perché i cinema si svuotano. Qualcuno recupera con le rassegne estive all’aperto, ma, colpa anche di una programmazione che declina di mese in mese verso l’abisso dell’inutilità, e nonostante l’aria condizionata, nelle sale cinematografiche frequentate sempre più di rado ci si ritrova in pochi a guardarsi come dei sopravvissuti a un’Apocalisse nucleare.

In attesa di ricominciare la mia amata abitudine di frequentare i cinema con assiduità, mi consolo in parte con Netflix i social network.

Adesso che, finalmente, le temperature hanno raggiunto i miei standard e ho ricominciato ad andare al cinema, continuo a usare i social network per tenermi aggiornata.

Il mio preferito del momento è Instagram, in cui i profili dedicati al cinema si sprecano. Non solo quelli delle star che raccontano abbondantemente gli affari loro, ma anche quelli più seri, gestiti da appassionati o professionisti che, se amate il cinema, non potete proprio perdere.

Si va da account generici che pubblicano foto di scene dei film e dietro le quinte, a quelli di fotografi che amano immortalare le star hollywoodiane o di addetti ai lavori.
Ce ne sono nove che mi piacciono particolarmente:

1. Cinema Magic

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Foto dai set, quiz, citazioni: c’è un po’ di tutto e io lo uso come ispirazione per segnarmi i film che non ho ancora visto o che vorrei rivedere.

2. The Academy

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L’archivio fotografico e storico de L’Academy è naturalmente vastissimo. L’account Instagram è molto curato e svela contenuti e retroscena di film ed eventi.
Naturalmente il momento migliore per seguirlo è nel periodo degli Oscar.

3. Color palette Cinema

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Ne avevo già parlato nel post su Wes Anderson, ma non pensate che in questo profilo (che propone almeno un film al giorno e alcuni sono molto ricercati) pubblichi solo ambienti pucciosi e color caramella: tutt’altro.

4. The Real Peter Lindbergh

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Il fotografo di moda tedesco regala alle star un’allure e una classe non da poco, e la scelta del bianco e nero li rende tutti elegantissimi (e fighissimi).

5. Emmanuel LubezkiSchermata 2017-07-12 alle 19.53.14Schermata 2017-07-12 alle 19.52.56Schermata 2017-07-12 alle 19.54.07Schermata 2017-07-12 alle 19.53.42
Lui, direttore della fotografia messicano che ha lavorato con Tim Burton, Alfonso Cuarón, Terrence Malick, Alejandro González Iñárritu, e si è portato a casa anche qualche Oscar, pubblica i suoi ritratti e paesaggi che, pur non c’entrando con il cinema in senso stretto, sono senza dubbio molto intensi e cinematografici.


E adesso è il momento degli account divertenti!

1. My Italy with Leo 

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Dopo aver recuperato vecchi ritagli di giornale e cartoline di Leonardo Di Caprio che collezionava da ragazzina, l’autrice, Beatrice Cassarini, ha iniziato a viaggiare con lui, portandosi Leo in giro per l’Italia.

2. Tickets plz

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Ogni biglietto del cinema racconta una storia, e questo account cerca di raccoglierne il più possibile, da ogni parte del mondo e di ogni epoca.

3. Pop culture in pictures

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Dissacrante, kitsch e pieno di ispirazioni per farsi un tatuaggio: Pop Culture in pictures non rende omaggio solo al cinema, ma a tutta la cultura pop, e lo fa in un modo del tutto originale.

4. Laura Izumikawa

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Prendete una mamma fotografa con una bimba bellissima e molto buona, da vestire di tutto punto per farle interpretare i tuoi personaggi preferiti, e avrete uno degli account Instagram più teneri del web.

 

Non siete ancora soddisfatti? Qui ne trovate altri sei.

Sherlock BBC

I am Sherlocked

Nell’ultimo post ho parlato delle community di fan, di che importanza hanno per le serie tv, e di quali mi sento di fare parte.
Oggi ad esempio è l’Amazon Prime Day e al momento sto aspettando che scatti l’offerta per il cofanetto con 12 dvd dei film degli Avengers.

Update: alla fine non li ho comprati, e mi sono accontentata della trilogia originale di Star Wars

La mia fandom preferita, perché deriva in maniera quasi comica da un ulteriore fanatismo per uno dei miei attori di riferimento, è quella delle serie tv Sherlock.

Benedict Cumberbatch Sherlock Holmes
Come era ormai chiaro quando ho parlato di Adam Driver, non mi piacciono le facce ordinarie, e Benedict Cumberbatch non è certo da meno. Lui, peraltro, è un altro per cui il doppiaggio dovrebbe essere illegale (guardate le sua pagina Wikipedia e contate il numero di doppiatori che gli si sono alternati).

Benedict Cumberbatch Sherlock Holmes
E poi Cumberbatch è il sex symbol che divide di più il pubblico: c’è chi lo trova inguardabile e chi irresistibile. Provate a indovinare da che parte sto io.

Benedict Cumberbatch e Janine Hawkins - Sherlock

A riprova del fatto che non sono né l’unica, né la più giovane, né tantomeno la più fissata, cercate solo su Instagram gli hashtag #cumberbunnies, #cumberbabes o il migliore di tutti, #cumberbitches: la comunità di sue adoratrici è molto ampia e creativa (e lo sa benissimo anche lui).

Ho iniziato a vedere Sherlock quando la serie era appena uscita, mi sono colpevolmente fermata alle prime due stagioni per poi recuperarle poco prima dell’arrivo della quarta, lo scorso gennaio.
Intorno alle nuove puntate c’è sempre un’attesa febbrile paragonabile a quella per l’uscita dell’ultima stagione di Game of Thrones. Sì, perché i fan di Sherlock sono sicuramente di meno di quelli di GOT, ma in proporzione sono altrettanto agguerriti.

Benedict Cumberbatch, Martin Freeman e Una Stubbs - Sherlock

La particolarità di Sherlock è che le stagioni escono molto distanziate tra loro: stiamo parlando di almeno due anni l’una dall’altra, per cui all’attivo, attualmente, ce ne sono solo quattro (e ognuna è di sole tre puntate): la prima è del 2010, quando ancora Cumberbatch e Martin Freeman, la sua spalla nel ruolo di Watson, non erano le superstar hollywoodiane che sono adesso.

Martin Freeman

Quindi, potete solo immaginare le aspettative con cui si arriva ogni volta alla nuova stagione.

Unica eccezione alla regola è stata la puntata speciale di Natale 2016, The abominable bride, l’unica ambientata nella Londra Vittoriana e che, oltre ad essere lo scioglilingua più complicato del mondo, è anche un capolavoro vincitore di un Emmy.

The Abominable Bride Sherlock

Cumberbatch si sta smarcando con difficoltà dall’essere identificato con il consulting detective più famoso della Storia, e questo solo grazie all’interpretazione di un altro genio, Doctor Strange.

Benedict Cumberbatch Doctor Strange

A dimostrazione del fatto che, per i fan più accaniti, Cumberbatch e il suo high functional sociopath Sherlock Holmes sono una cosa sola, basta vedere le centinaia di profili Instagram dedicati al suo personaggio e le opere di fan art di ogni tipo che si trovano online.

Moltissime, peraltro, sono a sfondo omosessuale, visto che una delle teorie più accreditate nella fandom è che Holmes e Watson siano in realtà innamorati, e ogni dettaglio dei dialoghi ed espressione dei protagonisti sono stati sezionati in maniera chirurgica per scovarne le prove. E anche questo, i diretti interessati, lo sanno bene.

Visto che avevo accennato ai gadget, posso dirvi che di Sherlock ho attualmente: i dvd delle serie, questi meravigliosi poster minimalisti dedicati alle puntate della seconda stagione, e già nel carrello per il prossimo acquisto i manga tratti dalla serie.

Forse un giorno arriverò a riempirmi la casa di action figures, chissà.

Benedict Cumberbatch Sherlock Holmes

Cosa sono i milioni quando in cambio ti danno le serie?

Freschi di polemica scoppiata durante il Festival Cannes se Netflix dovesse o meno far parte di una manifestazione che celebra i film pensati per il grande schermo, siamo subito passati alla successiva, che riguarda gli Emmy Awards, per i quali Netflix ha creato uno spazio sperimentale temporaneo di 24mila metri quadri a Beverly Hills, dedicato ai votanti del premio.

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Lì si sono tenuti una serie di incontri con le loro star di punta, tra cui Kevin Spacey che ha aperto le danze parlando della nuova stagione di House of Cards (con proiezione in anteprima della prima puntata), Jane Fonda e Lily Tomlin per Grace and Frankie, e il cast di Gilmore Girls.

Non solo, i visitatori hanno potuto vedere oggetti di scena di Stranger Things, Orange is the New Black, Umbreakable Kimmy Schmidt. Insomma, un Paradiso per gli appassionati.

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La polemica arriva dagli altri sfidanti che, naturalmente, non possono permettersi delle spese stratosferiche come il loro gigantesco rivale, adombrando anche l’ipotesi che l’investimento dovrebbe essere considerato come una forma di corruzione nei confronti di chi dovrà votare per i migliori show televisivi dell’anno.

Netflix dà fastidio, questo è sicuro. Si è infilata nelle pieghe di un sistema che era già in crisi di suo, con una formula di una semplicità quasi banale: tu mi paghi cinque euro al mese e puoi stare 24 ore al giorno davanti alla tv a vedere solo quello che ti interessa.
Mentre un biglietto al cinema, se va bene, lo paghi sei euro.

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Vi risparmio considerazioni sulla qualità dei film in uscita, sulla predominanza dei franchise (che pure, nel caso degli X-Men, adoro) e altri ragionamenti tecnici sull’industria cinematografica.

La faccenda è molto più semplice: Netflix ha il grano e non ha paura di usarlo per convincerci sempre di più che dobbiamo passare le serate a casa con le sue serie tv.

La sua proiezione di spesa per il 2017 solo per il marketing è di un miliardo di dollari, e servirà a spingere ancora di più i nuovi abbonamenti, che stanno subendo un fisiologico calo dopo il boom degli scorsi anni (stiamo comunque parlando di 100 milioni di abbonati in tutto il mondo in circa dieci anni di vita dell’azienda).

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Grazie a degli investimenti galattici riesce a creare delle campagne di comunicazione che riescono a tenerci incollati allo schermo creando un buzz pazzesco sui suoi prodotti e i suoi attori, prima, durante e dopo le uscite.
L’offerta è sicuramente di qualità, ma è tutto il contorno che ci avvinghia.

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Un esempio banale: penso solo a quanto stiamo discutendo in ufficio in questi giorni (e con che trasporto) di Thirteen Reasons Why, com’era successo mesi fa con How to get away with murder.

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Qualche esempio concreto?

Proprio per l’uscita della quinta stagione di House of Cards, Netflix ha assodato nientepopodimeno che Pete Souza, fotografo ufficiale degli Obama, per fare un finto servizio fotografico elettorale a Frank Underwood.

 

Fondamentale è in altri casi la personalizzazione delle campagne sulla base del Paese in cui vengono lanciate (avevo parlato di alcune iniziative dedicate al mercato italiano in cui sono stati usati efficacemente dei testimonial della nostra cultura pop).

She Rules, ad esempio, è la prima campagna dedicata al Ramadan pensata per celebrare le donne.
Qui sono state coinvolte influencer, imprenditrici e artiste arabe che ogni giorno pubblicano sui social uno dei loro personaggi femminili preferiti di Netflix che in qualche modo le ha ispirate.

In parallelo, è stata creata anche una campagna video con delle donne diversissime tra loro che, nelle difficoltà della vita, escono sempre vincenti (e naturalmente sono tutte abbonate a Netflix).

 

Di tutto un altro genere ma sicuramente di impatto è la campagna #narcosbills di Netflix Francia per il lancio della serie su Pablo Escobar.

Il punto di partenza è stato questo: il 90% delle banconote negli Stati Uniti e in Europa presenta tracce di cocaina.

E Netflix, che ha a disposizione uno dei più famosi trafficanti dei droga della storia, cosa fa?

Distribuisce tramite una serie di influencer centinaia di banconote da cinque euro sulle quali ha scritto con una polverina bianca, visibile solo se illuminata dalla torcia dello smartphone, l’hashtag #narcos.

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Inutile dire che la campagna ha avuto un’eco incredibile e una risposta social altissima, facendo salire la serie tv in trend topic per settimane.

 

 

Sì, Netflix ha decisamente scelto la plata. E sa come usarla.

Il valore della poesia

Ho sempre fatto fatica ad apprezzare la poesia, soprattutto se ha troppi livelli di significato, se non mi dà risposte immediate e mi costringe a sforzarmi di capirla (sì, lo ammetto, con la poesia sono un po’ pigra).

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Per questo non ne leggo molta, e gli unici libri che ho, in mezzo a una marea di romanzi, sono quelli di Emily Dickinson, che amo proprio per la brevità, la limpidezza e perché racconta l’animo umano e i suoi struggimenti attraverso delle immagini molto semplici e comprensibili: un’ape, un uccellino, il mare, un’alba.

E forse proprio per la comprensibilità della sua scrittura poetica, Rupi Kaur mi è piaciuta subito. Le sue poesie, spesso molto simili a degli haiku, sono delle vere stilettate che vanno dritto al cuore, senza troppi giri di parole.

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Ho comprato d’istinto la sua prima raccolta, Milk and Honey, dopo aver letto la sua storia.

È nata nel Punjab, in India ed è cresciuta in Canada.
Ha 24 anni, è una vera millennial e non per niente la sua attività (e notorietà) passa attraverso Instagram, e lei stessa viene definita una “Instapoet”. Le sue poesie sono perfette per il formato del social network: pochissime parole, spesso accompagnate da suoi disegni, che sembrano quasi degli schizzi, qualcosa in procinto di sbocciare.

Ha iniziato a scrivere rivolgendosi solamente alle ragazze indiane della sua comunità, pensando che solamente loro potessero capirla, ma a un certo punto si è resa conto che il suo era un messaggio universale e comprensibile per tutte le donne, di qualsiasi etnia e a qualsiasi latitudine vivessero.

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La giovane poetessa era già diventata famosa suo malgrado un paio di anni fa, per aver visto rimuovere da Instagram una sua immagine inserita all’interno del progetto fotografico Period, in cui la si vedeva stesa a letto con i pantaloni macchiati di sangue mestruale. Il lavoro era un tentativo di estirpare quello che è ancora per molti un tabù e una cosa sporca.

The hurting, the loving, the breaking, the healing: queste le quattro sezioni della sua prima raccolta di poesie, quattro fasi, quattro momenti della vita ma anche quattro pezzi dell’animo umano.

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La relazione, con gli uomini, le altre donne, con il padre, la madre, è al centro di tutto, ed è fonte, in parti uguali, di gioia e dolore.
In tutti i rapporti il confine tra amore e attaccamento è spesso molto labile, come quello tra volontà e costrizione.
La Kaur racconta di relazioni che possono togliere tutto e lasciarti completamente indifeso, ma anche di altri che portano a una fusione di due anime è talmente perfetta da non aver bisogno di troppe parole o spiegazioni.

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La parte più importante del suo lavoro è quella in cui parla di vere e proprie violenze e abusi sul corpo delle donne (lei stessa ne ha subiti quand’era ancora bambina), grazie ai quali, racconta lei stessa, viene continuamente contattata da ragazze che hanno subito forme di violenza e riescono a trovare il coraggio di far sentire la propria voce e di trovare conforto e rassicurazione nelle sue parole.

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Per questo penso che valga la pena leggerla, perché le sue sono parole piene di speranza ma anche di forza, la poesia diventa potente come un’arma, e a prescindere dalla storia personale di ognuna, ci si riconoscere molto facilmente in quello che scrive.

Vi lascio con un’intervista fatta dal portale Freeda quando Rupi Kaur è venuta in Italia per il tour di presentazione del libro.

Potete acquistare Milk and honey di Rupi Kaur su Amazon.

Immagini tratte dal sito di Rupi Kaur.

Come in un film di Wes Anderson

Wes Anderson è forse il regista più virale dei nostri tempi: periodicamente, Facebook, Vimeo (più indie di Youtube), blog di design e di cultura pop pubblicano qualcosa ispirato ai suoi film, che sia un mash-up con qualche altro registra (Kubrick su tutti, soprattutto con l’inquietante mix The Shining- Grand Budapest Hotel), o un video che racconta qualche aspetto distintivo del suo cinema (lo slow motion, la simmetria delle inquadrature) o ancora un designer che, ispirato dal suo immaginario, ha creato poster, locandine, pupazzetti Lego dei suoi personaggi.

A un certo punto qualcuno ha fatto un triplo carpiato e ha creato il supercut di tutti i supercut fatti su Wes Anderson. Eccolo.

Qualcuno sostiene che in realtà il regista giri sempre lo stesso film, qualcun altro di sicuro si sarà ormai stufato delle sue atmosfere pastello e dei suoi personaggi stralunati e surreali, ma io no, io di lui non mi stanco mai.
Lo amo, lo super amo, lo amissimo, e mi piace tutto quello che è ispirato ai suoi film.

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Gli ambienti e le scenografie, oltre che la musica e la fotografia, rispondono a uno stile assolutamente peculiare e riconoscibile. Non sono iconici solo i suoi personaggi, ma anche le sue ambientazioni.
Per questo oggi divento interior designer per un giorno e vi presento la mia lista per provare a vivere come in un film di Wes Anderson.

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Se vogliamo entrare nell’atmosfera, prima di tutto serve l’abbigliamento adatto. Sul sito Wes-Anderson si trovano oggetti di scena dei suoi film e soprattutto capi di abbigliamento di alcuni personaggi.

Alzando l’asticella potremmo rivolgerci a Lacoste, Prada, Fendi e Luis Vuitton, che hanno realizzato valigie e vestiti per i suoi film.

Una volta indossata la fascia da tennis o la tuta rossa di Adidas, possiamo iniziare ad arredare.

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Innanzitutto, scegliamo la palette di colori. Anderson ama il rosa cipria, il beige, l’azzurro pastello, le atmosfere Anni Settanta.
Facciamoci aiutare da questo tumblr per scegliere le più adatte.

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Qualche suggerimento per l’arredamento lo trovate, invece, in questo vademecum di Houzz.

La luce è fondamentale e le finestre devono essere al centro della scena.
Ebbene sì, c’è un supercut anche di quelle.

https://vimeo.com/191568026

Sugli scaffali poi dovremmo posizionare sicuramente qualche libro.
Alla collezione non può mancare Wes Anderson collection. Bad dads, raccolta di illustrazioni dedicate al regista e alle sue opere più famose, scelte e pubblicate dalla galleria Spoke Art di San Francisco tra quelle esposte ogni anno in una mostra dedicata.


Il rapporto con la letteratura è un tassello importante, e se volete vedere tutti i libri che compaiono nei suoi film… beh, che ve lo dico a fare.

Per fare davvero i fighi, poi, andate anche a fare un giro da Pollaz, un’artista del cucito di stanza a Verona che è famosa per le sue Pillow Faces, dei cuscini a forma di faccia di personaggi dei film, cantanti come David Bowie, registi come Woody Allen, artisti come Frida Kahlo (e se volete rifà anche voi!).
Da lei ci sono anche magliette e tazze e trovate alcuni personaggi di Wes Anderson, da Steve Zissou a Madame Céline Villeneuve Desgoffe und Taxis.


E, per finire, naturalmente, dobbiamo mettere un po’ di musica. Il giradischi lo trovate sempre nel sito Wes-Anderson.com, e potete comprare insieme anche i vinili, ma per la playlist perfetta potete affidarvi a Spotify.

Però, se tutto questo vi sembra troppo complicato e non avete voglia trasformare casa vostra in un set cinematografico, potreste accontentarvi di una di queste fedeli rappresentazioni in miniatura di questa illustratrice spagnola, da tenere sulla scrivania.

Dieci motivi per cui dovreste amare Lena Dunham

Cosa significa essere femministe oggi? La domanda è provocatoria e non sempre si riesce a dare una risposta esaustiva.

Ultimamente stanno emergendo nuove icone di quello che ormai viene definito femminismo mediatico tra le fila delle attrici di Hollywood, schierate in maniera sempre più esplicita a favore di campagne internazionali dedicate alla parità di genere. 
C’è chi lo fa in maniera più discreta, c’è chi ne impermea ogni sua azione, foto su Instagram o intervista.

Una delle rappresentanti della seconda categoria è Lena Dunham.
Lena ha esattamente la mia età, ma mentre io stento a mettere un piede fuori dal letto la mattina quando suona la sveglia, lei ha fatto in tempo a diventare attrice, scrittrice, produttrice e regista, vincitrice di Emmy e Golden Globe e nominata dal Time nel 2014 una delle 100 persone più influenti del mondo.

Ho iniziato a seguirla quando ho scoperto nel 2012 la sua Girls, di cui mi sono innamorata all’istante, e ho subito pensato che la sua scrittura avesse qualcosa di speciale.
Della serie tv mi riservo di parlare quando avrò terminato la season finale, in onda in queste settimane. Qui vorrei solo raccontare perché è una personalità da seguire.

Da un po’ di tempo ho iniziato a interessarmi anche alla sua vita privata e al suo impegno politico attraverso i social e il web, e in questo modo ho iniziato ad allontanarla da Hannah, il suo personaggio in Girls, con cui per forza di cose l’avevo identificata (è in parte autobiografico, quindi era inevitabile).

Vi elenco per questo i dieci motivi per cui anche voi dovreste amarla quanto me:

1. nonostante sia una newyorchese e abbia avuto una vita totalmente diversa da quella della maggior parte di noi, riesce a dare voce alle trentenni più di quanto possiate immaginare;

2. ha una grave malattia debilitante e poco conosciuta come l’endometriosi, di cui soffrono, spesso senza saperlo, milioni di donne nel mondo, e ne ha sempre parlato apertamente e senza vergogna, contribuendo a fare awareness su quello che è un problema nascosto e pericoloso;

3. se ne frega talmente tanto dei canoni estetici del corpo femminile che ti porta più di una volta ad ammirarla per il coraggio con cui lo espone, anche se imperfetto e in sovrappeso. Poi però, dopo aver superato la fase in cui ti stupisce la sua spudoratezza, ti obbliga a riflettere sul fatto che i corpi sono tutti diversi, che non dovrebbe esserci un canone, e che (teoricamente) nessuno dovrebbe vergognarsi del suo;

4. proprio a causa dell’endometriosi, si è recentemente sottoposta a una dieta che l’ha fatta dimagrire molto. E hanno tutti dovuto dire la loro, e lei ha ovviamente risposto a tono. Leggete l’articolo di Refinery29 uscito recentemente per capire meglio di cosa parlo;

5. se ne frega anche di quello che gli altri pensano di come si veste, e le sue risposte a chi la critica non permettono di ribattere in alcun modo:

I try at a lot of things. Mostly I try at being a writer, director, actor, activist, friend, sibling, partner, godmother…Fashion is fun but sometimes I’d rather not spend 3 hours and lots of cash I could give to charity or spend on books and food to get ready to go out. There’s a lotta different ways to be a public figure and I think there’s room for us to occasionally show up in public like normal people do. When I look at that picture you subjected to “caption this” criticism, I see a day well-spent writing, reading, having tea with a friend.

6. dopo aver scritto, diretto e interpretato una delle serie più acclamate degli ultimi tempi, ha anche fondato la sua azienda, Lenny Letter, che è un sito a cui è collegata una newsletter sull’impegno femminile in tutti i campi, e che raccoglie testimonianze, idee, spunti per le donne di domani. Su Lenny, tra le altre, è stata intervistata anche Jennifer Lawrence, che proprio lì ha parlato per la prima volta di disparità di trattamento economico tra attrici e attori;

7. a 28 anni ha scritto un’autobiografia, Non sono quel tipo di ragazza, in cui c’è tutto.
C’è il racconto di tutti i presupposti per avere una vita normale (una famiglia affettuosa e di supporto, padre compreso, un ambiente colto e benestante in cui crescere), che non sono bastati a evitarle di precipitare in un disturbo ossessivo compulsivo tenuto costantemente a bada dai farmaci. E poi ci sono gli incontri sbagliati e sbagliatissimi, e le amicizie che sono fondamentali per la sopravvivenza.
In estrema sintesi, quella costellazione di imperfezioni, fisiche e caratteriali, che le ha permesso di diventare Lena Dunham;

8. in Not that kind of Girl parla anche della tragedia di uno stupro subito da parte di un compagno di università, cosa che succede quotidianamente a molte altre ragazze all’interno dei college americani, ed è un altro argomento di non ha mai avuto paura di parlare;

9. sa che da soli si arriva fino a un certo punto, ma la vera forza è nel gruppo. E allora si circonda di amiche del calibro di Taylor Swift, Lorde, Gwyneth Paltrow, Amy Schumer, che mantengono alta e costante la sua dose di credibilità;

10. ha regalato al mondo una faccia e un talento del calibro di  Adam Driver, scelto per interpretare il personaggio di Adam in Girls e che da lì ha spiccato il volo. E per questo non smetterò mai di esserle grata;

Nell’era in cui tutti si sentono influencer di qualcosa, lei riesce ad esserlo in maniera reale e non patinata, per tutti i motivi di cui sopra. E magari può risultare antipatica, perché è una senza peli sulla lingua e non le manda mai a dire, ma è forse una delle voci più sincere e libere della nostra generazione.

Se vi ho convinti, potete partire da qui per conoscerla meglio:
Il suo account Instagram
Lenny Letter
Non sono quel tipo di ragazza su Amazon.

Netflix: le mie campagne preferite (finora)

Sono dipendente da Netflix non solo per il suo catalogo di film e serie tv, ma anche perché mi piace il modo in cui comunica i suoi prodotti. La materia prima è sicuramente parecchia, variegata e gustosa, ma lo è anche il modo in cui viene pubblicizzata.

In Italia i social network della piattaforma sono affidati all’agenzia milanese We Are Social, che è un po’ il luogo dei sogni di chi lavora nel web e ama le serie tv. Semplicemente, sono bravissimi. 
Non solo per quello che pubblicano nei canali di Netflix e per le attività che propongono, ma anche per il tono di voce con cui rispondono ai fan. Qui sotto vedete qualche esempio.

 

Uno dei filoni narrativi che si sono inventati per promuovere le nuove serie è l’utilizzo come testimonial di alcuni personaggi famosi della pop culture italiana. E allora vediamo Beppe Vessicchio che si è perso nell’Upside Down di Stranger Things, ed è per questo che non si è presentato a Sanremo, mentre dietro al volto rassicurante di Giovanni Muciaccia si nasconde il Conte Olaf di Una serie di sfortunati eventi, e Salvatore Aranzulla è (giustamente) l’unico che può darci le risposte alle domande sul futuro di Black Mirror.

Ma non solo Netflix Italia ha una linea comunicativa efficace. L’agenzia And Company di Los Angeles ha firmato, ad esempio, una divertente (e criticata) campagna internazionale per il lancio di Santa Clarita Diet.
La serie vede Drew Barrymore recitare nella parte di un’agente immobiliare che, all’improvviso e senza apparenti motivi, si sveglia morta vivente, con l’ovvia esigenza di cibarsi di esseri umani. L’occasione era letteralmente ghiotta, e ha permesso a Netflix di prendere in giro l’ossessione moderna per il cibo, il cibo sano e il fotografare il cibo.
Ecco allora la campagna, divertente e fastidiosa proprio come la serie, Eat your heart out, sconsigliata agli stomaci delicati.
Qui, alcuni dei poster (ho scelto i meno disgustosi, trovate tutti gli altri nel sito dell’agenzia).

 


Su Santa Clarita Diet anche We Are Social ha detto la sua, con un mini video che riprende lo stile di quelli di Tasty e che insegna a preparare la pasta come gli americani. O almeno come alcuni di loro.

Un’altra delle mie campagne preferite, e anche una delle più originali, è stata studiata per l’uscita di tutte le stagioni di F.R.I.E.N.D.S. nel catalogo di Netflix Francia.
Avete presente quegli odiosi annunci pubblicitari che siete costretti a sorbirvi prima di poter visualizzare i video su Youtube?
Ecco, la sezione parigina dell’agenzia Ogilvy & Mather li ha trasformati e resi imperdibili.

La domanda che si sono posti è stata: come facciamo ad aumentare l’hype per una serie che ha chiuso i battenti più di dieci anni fa, che i più giovani non conoscono, ma che ha ancora tantissimo da dire e di cui farci ridere?
La soluzione è stata data con la geniale The Friendly Preroll Campaign.
Al posto degli annunci pubblicitari venivano trasmesse delle brevi clip tratte dagli episodi più famosi della serie, collegate alle chiavi di ricerca digitate dall’utente.
Quindi, se qualcuno cercava, ad esempio, dei tutorial di make up, prima di visualizzare il video scelto compariva la finta pubblicità in cui Joey promuoveva dei lipstick da uomo per la televisione giapponese.
Qui vedete il video di presentazione della campagna.

E poi c’è quella dedicata a The Get Down in cui… no, fermi.
Sono una specialista delle serie tv, non posso permettermi di svelarvi tutto in un unico post. Per adesso accontentatevi di queste: per le altre dovete aspettare le prossime puntate.

This is him: Ale Giorgini

Se c’è una cosa che non so, né ho mai saputo fare, quella è disegnare.
C’è un mio capolavoro appeso a una parete nella casa dove sono cresciuta, in cui i soggetti hanno un numero di dita delle mani direttamente proporzionale all’età. Non proprio un talento nel disegno anatomico.
Per questa mia scarsa capacità ho sempre invidiato moltissimo gli illustratori, e mi sono sempre circondata di stampe, fumetti e illustrazioni. Forse per compensare una mancanza, chissà.

Ho scoperto Ale Giorgini due anni fa, a una fiera del Vintage a Padova in cui erano esposte alcune sue tavole. È stato un colpo di fulmine, e il motivo è che la maggior parte dei soggetti ritratti dal fumettista vicentino riguarda il cinema. E ritrae anche le band, e poi le serie tv: insomma, come poteva non piacermi immediatamente?

 

Il suo stile è stato definito (e definizione non calzò mai così a pennello) geometric retrò style, mentre i suoi personaggi sono ritratti sempre a occhi chiusi e, che siano in bianco e nero, sui toni dell’azzurro o coloratissimi, comunicano sempre un senso di pace, rilassatezza e riflessione. Anche quando si tratta dei protagonisti di Game of Thrones o Pulp Fiction.
Il suo immaginario è quello di chi era ragazzino negli anni Ottanta, cresciuto con i Goonies ed ET. Lui stesso dice , nel suo librino This is Me (che per fortuna ho acquistato alla mostra, perché nel suo shop online è ormai out of stock), che la maggior parte dei suoi film preferiti sono degli Anni Ottanta.

Vanta collaborazioni di tutto rispetto con Warner Bros, Disney, Il Corriere della Sera, solo per citarne alcuni. Insegna allo IED di Torino e alla Scuola Internazionale di Comics di Padova. È curatore di Illustri, il Festival del Fumetto di Vicenza, e del Berga Urban Museum.
Tra i suoi progetti più recenti, una linea di abbigliamento per Puma, la bellissima lampada di design MOBI e Giuseppe Verdi rivisto in chiave pop che ha dato vita a un libro per bambini.

Seguitelo su Instagram e Twitter: non ve ne pentirete.

 

Credits delle immagini: Ale Giorgini.