Dare consigli è inutile

È un periodo curioso.

Da una parte mi trovo spesso nella situazione in cui le persone mi chiamano, mi scrivono, mi chiedono di fare due chiacchiere perché vogliono la mia opinione su qualcosa. Che riguardi il lavoro, un rapporto che non funziona, una questione di principio, sentono di potersi fidare del mio giudizio.

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Dall’altra mi trovo io, invece, a chiedere ossessivamente l’opinione degli altri su una faccenda sentimentale.
È una cosa che sulla mia pelle mi sembra intricatissima, ma che, se me la raccontasse un altro, so che l’avrei chiusa nel tempo di finire una sigaretta.

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Ma la verità è che ho scoperto da poco che chiedere consigli è umano, darne è inutile.

Sembra una contraddizione in termini, ma è una delle più importanti lezioni che ho imparato da un piccolo manuale che ho comprato poco tempo fa.
Il libro è “Creiamo cultura insieme – 10 cose da sapere prima di iniziare una discussione” di Irene Facheris, la formatrice di Parità in Pillole che avevo citato tra i profili YouTube da seguire (e che ho visto dal vivo qualche tempo fa).

Poche cose come aver letto questo libro hanno cambiato la mia percezione sul modo che abbiamo di comportarci con gli altri, e su come, pensando di far bene, quasi tutti inciampiamo in errori involontari che rischiano di fare peggio.

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Non temete, c’è una speranza per tutti.

Quando si discute di relazioni di qualsiasi tipo, da quelle amorose a quelle d’amicizia, familiari e lavorative, si apre il buco nero delle opinioni.

È il luogo in cui vale tutto, ognuno la pensa in un modo diverso, ha una strategia, una cosa che secondo lui “devi fare” o “non devi proprio fare”. È il regno dell’incertezza.

All’opposto, Irene, durante la presentazione a cui ho partecipato, ha esordito dicendo una cosa con una fermezza e una sicurezza che mi hanno colpita: “questo metodo per gestire le discussioni funziona senza dubbio. Provatelo, e poi ditemi”.

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E nel suo libro ci spiega che no, il confronto con l’altro non è il Far West delle buone intenzioni, ma ci sono delle tecniche che si possono adottare e che sono davvero efficaci per migliorare le discussioni e il confronto con gli altri.

Ad esempio, c’è una cosa che ci impedisce nella maggior parte dei casi di affrontare serenamente le discussioni, ed è non discernere tra concetti molto diversi tra loro: capire, comprendere e condividere le azioni dell’altro.
Se impariamo a distinguerli, avremmo gli strumenti per parlare con chiunque senza alterarci, anche se non condividiamo le sue idee e le sue azioni (sì, anche con quello lì che vi è venuto in mente adesso e che considerate il più stronzo di tutti).

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Una volta capito questo, abbiamo un’altra massima da affrontare: “Non si possono giudicare le emozioni e i bisogni degli altri, piuttosto i comportamenti che ne conseguono”.

Voi direte che questo lo sapete bene, ma continuate a leggere.

Quante volte avete detto “non dovresti essere triste” o “non ti dovresti arrabbiare così tanto”, o ancora, in positivo, “sei stato bravo a reagire così”, o “a me è successa la stessa cosa, quindi ti capisco”? Ecco, questo è il tranello in cui cadiamo tutti, quando vogliamo aiutare l’altro, e spostiamo il focus da lui a noi, giudicandone le emozioni e i bisogni secondo le nostre categorie, senza aiutarlo davvero.

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Eh, lo so.

Irene descrive una serie di comportamenti che ci vengono naturali quando una persona ha un problema e si rivolge a noi per un consiglio: rassicurare, interpretare, giudicare… e che dovremmo imparare ad abbandonare per l’unico vero ascolto che è utile per l’altro: quello empatico/comprensivo.

Questo ascolto parte da un esercizio: spostare le cose che pensiamo, e che nella nostra testa sembrano chiarissime, su carta, e poi rileggerle, ascoltandoci. In tutti questi passaggi il nostro pensiero, inevitabilmente, subirà delle modifiche, ma non sarà ancora abbastanza chiaro.
L’ultimo passaggio che ci serve è nel confronto con l’altro.
L’altro, che dovrebbe non fare altro che ripetere esattamente quello che gli raccontiamo noi.

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Sembra strano, ma sentite qui:
“la riformulazione serve all’ascoltato per ascoltare se stesso attraverso un’altra voce che ripeta esattamente quello che ha detto, permettendogli di creare uno spazio fra sé e il proprio racconto affinché possa comprendere se è proprio il suo, produrre eventualmente un’ulteriore elaborazione, rimettersi in movimento (…) e continuare ad approfondire (…)” (Irene Facheris, Creiamo cultura insieme, pag. 94).

Quando qualcuno ci chiede un consiglio, insomma, dobbiamo imparare a ripetergli a voce alta quello che ci ha detto e che ha fatto, non le motivazioni e le emozioni che crediamo di interpretare dietro i suoi gesti, e accompagnarlo senza metterci mai in mezzo con il nostro vissuto emotivo, chiedendogli solo di spiegarci come si sente in quel momento, senza anticipare una soluzione.

Difficile, non è vero?
È però l’unica via perché l’altro si senta davvero messo al centro e compreso, ed è una rivoluzione che, sono convinta, può portare solo del bene.

Io vi consiglio di leggere il libro di Irene anche solo per riflettere sulla strada che avete percorso finora, senza giudicarvi o giudicare gli altri, ma prendendolo come un punto di partenza per (e lo dico senza retorica) diventare ascoltatori e persone migliori.

E poi magari tornate da me che ho tante cose da raccontarvi.

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