The Affair è una serie dell’emittente Showtime (quella di Homeland, per dirne una) che non ha suscitato molto scalpore, ma che mi sento di difendere perché non solo credo sia molto ben fatta, tutto sommato realistica pur essendo fiction, e poi perché racconta le vicende dei protagonisti con un meccanismo piuttosto originale.
Si parla di due coppie, Noah e Helen e Cole e Alison, che si conoscono durante una vacanza al mare dei primi due a Montauk, la cittadina dove vivono gli altri due. Noah ed Alison iniziano una relazione, che si rivelerà causa di risvolti psicologici, ossessioni, inquietudini e conseguenze disastrose, e arriverà a provocare dei danni gravi anche ad altri membri della comunità.
Tra parentesi: il personaggio di Cole è Joshua Jackson.
A prescindere dal fatto che quando era un pischello in Dawson’s Creek ho sempre preferito il suo Pacey a quel lesso di Dawson, oggi, con piglio del tutto professionale, posso affermare che è diventato un gran bono.
Avevo già scritto qualche pensiero su questa serie in tempi non sospetti (cioè prima di aprire il blog). Un anno fa dicevo questo:
The Affair è una storia di tradimenti e bugie.
Ma è soprattutto una storia di punti di vista, di ricordi, di interpretazioni, e se nella prima stagione ci vuole qualche puntata per capirne il meccanismo (vicenda vista da lui, subito dopo la stessa cosa vista da lei), dalla seconda in poi l’occhio è allenato e incuriosito a cogliere le differenze.
Nella prima stagione Noah ed Allison sono le uniche due voci narranti, e le differenze sono soprattutto di tipo seduttivo: nel ricordo di lui, lei ha un tubino nero sexy e lo provoca per prima, nel ricordo di lei, invece, è lui il seduttore, mentre lei è molto più goffa.
Nella seconda stagione la visione si allarga e comprende anche gli altri due angoli del quadrato: Helen e Cole, e i punti di vista si raddoppiano.
Le differenze non solo più solamente delle sottigliezze (i capelli erano raccolti o sciolti? Chi è stato il primo a sorridere?) ma cambiano intere parti del racconto, spesso si contraddicono.
Ma il risultato è sempre lo stesso, si va avanti senza intoppi e le differenze tra un ricordo e l’altro, pure così marcate in alcune scene, non compromettono l’esito della serie.
C’è poi un altro aspetto: chi racconta è una docile vittima, mentre la sua controparte è sempre più felice, o più cattiva, o più forte. Chi racconta vorrebbe fare pace, ma si trova in balia delle decisioni dell’altro, che lo prevarica o lo riempie di bugie.
Aggiungo che nella terza stagione la situazione si complica ulteriormente con l’introduzione di un ulteriore punto di vista, che stavolta non svelo per non anticiparvi l’evoluzione della trama.
Ancora oggi questa serie mi porta a ragionare sui punti di vista, sull’angolazione dalla quale due persone vedono la stessa cosa, e su quanto nel ricordo ci si metta spesso nella posizione di avere ragione. E ribadisco un’altra cosa su cui avevo già riflettuto:
Se la somma di tutti i particolari dà sempre lo stesso risultato, allora quanto importanti sono quei piccoli dettagli che a noi sembrano fondamentali, e che gli altri si sono dimenticati?
È un tradimento ricordarsi quello che è successo in un modo diverso, anche completamente opposto, dall’altr? Oppure in fondo non è così importante per lo svolgimento delle nostre vite, che vanno avanti comunque?
Questa cosa mi ha fatto sorgere un sacco di dubbi sul motivo universale su cui litigano le coppie: ricordarsi gli anniversari.
Un pensiero riguardo “Una serie sui punti di vista: The Affair”