Anche la follia merita i suoi applausi

Quest’anno, rispetto al solito, me la sono particolarmente goduta per quanto riguarda i miei giri dedicati all’arte e alle mostre. Negli ultimi mesi sono stata da: Ai Weiwei a Firenze, David Bowie is a Bologna, Into the Unknown a Londra (dove ho rivisto anche la Tate Modern e il Victoria and Albert Museum), la Biennale a Venezia (con in canna ancora Damien Hirst a Venezia che la varicella mi ha impedito di visitare).

L’ultima è stata una bella scoperta fatta grazie a Sgaialand Magazine e che ho visitato durante un giro sulla sponda bresciana del Lago di Garda, precisamente a Salò.
È il Museo della Follia, una mostra curata da Vittorio Sgarbi che sarà al MuSa fino al 19 novembre.

Devo ammettere che il nome di Sgarbi mi aveva inizialmente indisposta, ma solo per un pregiudizio dato dalla sua facciata pubblica e televisiva, che nulla c’entra con le sue reali capacità di curatore.

La mostra comunica fin da subito qual è il suo scopo: parlare della malattia mentale senza pregiudizio, ma semplicemente descrivendola, mostrando i volti e le opere di chi soffre di disturbi psichiatrici.

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Negli spazi dell’esposizione si alternano opere di artisti che hanno sofferto di disturbi psichiatrici che hanno influenzato in maniera più o meno evidente la loro produzione artistica: da Francis Bacon a Antonio Ligabue a Francisco Goya, tra quelli più conosciuti.
Ma non solo, ci sono oggetti, filmati e reportage fotografici di manicomi e ospedali psichiatrici.

Gli unici giudizi che è impossibile non dare sono quelli rivolti non tanto ai pazienti quanto ai loro aguzzini, in particolare in due momenti della mostra

Il primo è alla visione dell’inchiesta del Senato del 2011 sugli OPG (Dove vive l’uomo?), gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, in cui ci vengono raccontate, senza troppi filtri, le condizioni letteralmente disumane in cui vengono trattenuti i pazienti, che di fatto sono dei carcerati, rinchiusi fino a data da destinarsi.
Una storia di sofferenza e abbandono molto spesso sconosciuta, e che secondo me è una delle cose più importanti su cui soffermarsi in questa mostra.

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C’è poi la stanza de “I pazzi politici” in cui ci raccontano del trattamento riservato a chi veniva considerato un malato psichico dai regimi totalitari (che era solo un altro modo per imprigionare i nemici) e qui vedrete esposto, in anteprima mondiale, un dipinto di Adolf Hitler. Non è tanto quello che viene rappresentato che mi ha fatto rabbrividire (è una stanza marrone piuttosto brutta con due persone sedute) quanto il pensiero del suo autore, che in giovane età diceva che avrebbe voluto essere ricordato per il suo talento artistico.

Bellissima, invece, l’installazione La stanza della griglia, una parete composta da ritratti di pazienti psichiatrici ritrovati nelle cartelle cliniche di alcuni ex manicomi, che possono essere illuminate o spente con un tasto direttamente da chi visita la mostra.
Di fronte, una mummia dello sfortunato Bill Evans accasciata sopra a un pianoforte, come se il musicista fosse morto suonando. La scultura è di Cesare Inzerillo.

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Molte altre sono le opere e le storie che racconta il Museo della Follia e che valgono la pena di essere scoperte. Avrei la tentazione di raccontarvi quello che c’è in ogni stanza del percorso, ma penso che valga la pena scoprirla direttamente dal vivo, con il carico di emozioni, stupore e perplessità e le domande che vi porterete dietro una volta usciti.
Ve la consiglio perché, e qui cito una frase di Basaglia che campeggia su una parete della mostra, “in noi la follia esiste ed è presente come la ragione”.

 

Le foto, tranne quella di copertina che è mia, sono prese dal sito de Il Museo della Follia.

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