Okja è la produzione di Netflix che è stata presentata a Cannes e che ha scatenato le polemiche di cui avevo parlato qui.
La storia è quella di un’amicizia tra la piccola Mija, una ragazzina coreana, e Okja, super maiale creato in laboratorio da una multinazionale americana, la Mirando Corporation. Le due vivono con il nonno di Mija sulla cima di una montagna in un ambiente idilliaco e incontaminato.
Per nascondere gli esperimenti fatti per creare quello che è il cibo del futuro e che risolverà il problema della fame nel mondo (ecologico e sostenibile perché sporca poco, mangia poco, e in più è buonissimo), l’azienda finge che questi super maiali siano stati trovati casualmente in natura, e li inviano a 26 piccoli allevatori in diverse parti del mondo, per farli crescere secondo i metodi tradizionali.
Amministratore delegato della Mirando è Lucy Mirando (Tylda Swinton), un robot travestito da Barbie, con un chiaro disturbo psichiatrico per il senso di inferiorità nei confronti della sorella, e che in questo progetto dei super maiali ripone tutte le sue speranze di riscatto.
Passati dieci anni, uno di questi verrà premiato come il miglior super maiale del mondo, scelto appositamente dal veterinario superstar Johnny Wilcox (un Jake Gyllenhaal talmente fastidioso da essere perfetto).
Vincerà proprio Okja, che verrà strappata a un’inconsapevole Mija con la collaborazione del nonno corrotto. Questi, infatti, alla promessa di una lauta ricompensa, non si fa dire due volte che deve consegnare il super maiale, che lei considera parte della famiglia mentre lui solo un oggetto di scambio.
Contro la multinazionale, un gruppo di animalisti che vogliono smascherarne l’inganno, ma che non sono del tutto senza macchia e senza paura, capitanati da Jack, che ha la faccia paciosa di Paul Dano.
Non ci sono dubbi che Okja sia un film animalista ed eco friendly.
Il super maiale è di fatto un cagnolone nel corpo di un ippopotamo, ed è studiato nei minimi dettagli per farci affezionare sin dal primo istante.
I protagonisti della multinazionale degli orrori non fanno nulla per suscitare la nostra simpatia, a partire dal veterinario Johnny Wilcox, star televisiva alcolizzata e in declino, il cui momento topico è la scena in cui, poco prima di prelevare brutalmente dei campioni di assaggio da Okja, piange disperato perché lui adora gli animali, ma anche perché non sarà lui a poterla assaggiare.
Le scene girate in laboratorio e quelle finali nel macello, anche se ci fanno intuire quasi tutto e niente è esplicito, sono crude e realistiche.
Ma il film, in realtà, non dà una risposta univoca e non si schiera in maniera incondizionata, e lascia grossi dubbi sui metodi e le convinzioni del gruppo di liberazione degli animali.
Questi si travestono da terroristi ma ci tengono ogni volta a precisare che non amano la violenza. Salvo che, al primo errore di uno di loro, Jack lo prende a cazzotti fino quasi a farlo svenire, perché i fondamenti dell’organizzazione sono sacri.
Il gruppo decide di sacrificare la povera Okja per permetterle di filmare di nascosto gli orrori del laboratorio, ma al costo di fare provare a lei stessa quegli orrori.
I buoni sono tutto tranne che degli eroi, anzi, sono più un gruppo amatoriale quasi completamente disorganizzato e talmente manichei che spesso si ricoprono di ridicolo.
Emblematico è il momento in cui uno di loro, che vuole ridurre al minimo il suo impatto ambientale e praticamente ha smesso di mangiare, quando è sul punto di svenire rifiuta persino un innocuo pomodorino, perché non sa come è stato coltivato.
In mezzo, le uniche veramente pure di tutta la storia sono la bambina e la sua migliore amica, che però appartengono a un mondo rurale e antico, una cultura del tutto diversa da quella occidentale, dove l’inglese non è arrivato, che è distante e faticosa da raggiungere, non solo per la differenza linguistica, ma anche fisicamente.
Insomma, il film sembra volerci dire che questo modello realmente rispettoso dell’ambiente e della vita, in cui l’alimentazione segue i ritmi della natura, non è replicabile nella nostra società, le cui esigenze sono eccessive per le risorse del nostro pianeta.
Il tema è delicatissimo e attuale e mi ha fatto vacillare in più momenti, e mi ha lasciata in pensiero anche nei giorni successivi. La scarsità di risorse, il sovrappopolamento, l’orrore degli allevamenti intensivi che Okja descrive in maniera surreale ma nello stesso tempo molto realistica, sono tematiche all’ordine del giorno e non possiamo permetterci di ignorarle, ma non è possibile nemmeno aderire alla causa ambientalista e animalista senza mai porci delle domande sui metodi e le reali conseguenza delle nostre azioni.
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