N.B. C’è dello spoiler!
Prendete un po’ di sangue e budella da Game of Thrones, mischiateli a viaggi onirici dai colori saturi di qualche film alla Amabili Resti, aggiungete qualche atmosfera horror-psichedelica alla Sense8, spruzzate tutto con qualche suggestione distopica alla Black Mirror, piazzateci dentro una serie di divinità antiche e moderne che non sono proprio delle maestre di virtù (Gli dei si comportano così da sempre, facendo esattamente quello che vogliono), ed eccovi confezionato American Gods.
La serie (che trovate su Amazon Prime) è tratta dall’omonimo romanzo fantasy di Neil Gaiman.
La prima puntata inizia con la scarcerazione del protagonista, Shadow Moon (Ricky Whittle), che ha finito di scontare gli anni di carcere per una rapina in un casinò e che, con un piede già fuori, viene investito dalla notizia della morte della moglie in un incidente.
Nel viaggio di ritorno incontra lo sconosciuto e intrigante Mr. Wednesday (un perfetto Ian McShane), che da subito gli confonde le idee dimostrandogli di sapere tutto di lui e offrendogli un lavoro come guardia del corpo in cambio di un generoso compenso.
È così che inizia il loro lungo e polveroso viaggio attraverso gli Stati Uniti in cui proveranno a convincere delle vecchie conoscenze di Wednesday a unirsi a loro per quella che, puntata dopo puntata, scopriamo essere una guerra tra divinità, le antiche che vogliono contrastare l’avanzata delle moderne.
Fino a metà stagione, però, nessuno ci dice che Wednesday è in realtà il dio Odino, che è un dio anche l’inconsapevole Shadow e che lo sono tutti quelli che lui vuole arruolare, nonché i suoi rivali.
Naturalmente ce lo dice il titolo stesso della serie, e ce lo raccontano anche le azioni dei protagonisti che chiaramente non sono umane (come comunicare dagli schermi delle tv, levitare, o far nevicare), ma fino alle ultime puntate non scopriamo chi è veramente coinvolto in questa guerra.
I personaggi sono molto interessanti, sia dalla parte degli Antichi che vogliono recuperare la perduta fede che l’umanità aveva in loro, che da quella dei nuovi.
Una su tutte, la bella e multiforme Media che di volta in volta vediamo nelle vesti di Lucille Ball, Marilyn Monroe, David Bowie (e se vi sembra di averla già vista da qualche parte, è Gillian Anderson, la Dana Scully di X-Files),
o il capriccioso Technical Boy, che con uno smartphone e un’applicazione analoga a Tinder prova corrompere l’antica Regina di Saba, ormai decaduta e con l’abitudine di fagocitare i suoi amanti in maniera abbastanza brutale.
Per non parlare della moglie di Shadow Moon (interpretata da Emily Browning), che ritorna sottoforma di zombie con qualche questione in sospeso, forse il personaggio più scorretto di tutti che per forza di cose mi ha ricordato Drew Barrymore in Santa Clarita Diet.
La storia di Wednesday e Shadow Moon è intervallata da flashback che ci raccontano l’origine delle divinità del passato, e che potrebbero essere l’inizio di altrettanti spin off.
Le divinità sono tutte recuperate dalla mitologia e dalle religioni di tutto il mondo, dall’Irlanda all’Africa passando per gli Antichi Romani e i culti nordici.
E poi c’è una personale interpretazione di Gesù di Nazareth (che viene meravigliosamente descritta nell’ultima puntata, la migliore della serie) che da sola vale tutta la stagione.
La narrazione nel complesso è elegante e lenta, senza particolari colpi di scena o momenti di azione, tranne un paio di scene violentissime che potrebbe tranquillamente essere inserite in una puntata di Game of Thrones.
La serie è visivamente bellissima, surreale, onirica, la fotografia è è tratti molto cupa, come se sulla testa dei protagonisti incombesse sempre una nuvola carica di pioggia, e a tratti fastidiosamente brillante, come se stessimo annegando dentro un sacchetto di caramelle.
Non da ultima, è da citare la musica.
È infatti la colonna sonora che mantiene costante la tensione, che sottolinea chi sono i nemici e ci ricorda di non avere paura e di non fidarci di nessuno, aumentando il senso del pericolo in situazioni apparentemente innocue.
Alla colonna sonora hanno contribuito artisti come Mark Lanegan, Shirley Manson e Debbie Harry.
Vedetela, perché è un prodotto completamente nuovo, e mi sento anche di sbilanciarmi: secondo me diventerà un cult del genere (attendo la seconda stagione per confermarlo).
La grande attualità di American Gods è il suo riflettere sull’immigrazione (le stesse divinità sono state portate nella Terra Promessa dai migranti europei), di fede, di morte, di vizi tutti americani come ad esempio il possesso delle armi.
E alla fine di tutto, lascia aperta una questione fondamentale su cui riflettere: è più importante per noi avere fede in un Dio o è più importante per gli Dei che noi crediamo in loro e continuiamo ad amarli?
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